Laura Facchinelli - Arte |
|
Quale potere? Ma di costruire qualsiasi cosa! Di dare vita a paesaggi e persone. Contemplavo le rocce e vedevo un quadro, all’istante, con la grafia dei solchi e il colore mutevole per effetto della luce. Quanto ho ripreso a dipingere, nei primi anni ’90, è stato proprio per prendere possesso delle amate montagne.
A quando risale la tua relazione col paesaggio alpino? Avevo tre anni quando i miei genitori mi hanno portata per la prima volta a Ortisei per respirare l’aria di montagna. I primi ricordi risalgono a pochi anni più tardi: c’era ancora il trenino della Val Gardena e noi abitavamo in una piccola casa bianca proprio lungo la ferrovia. Un ambiente quasi fiabesco. Per molti anni ho trascorso le vacanze in alta quota. Partivo con la famiglia appena finita la scuola, viaggiando in treno, e stavo via tutta l’estate. All’epoca gli adulti non si sentivano in dovere di programmare le giornate dei figli in modo “produttivo”, così io potevo assaporare il dolce far niente. Che a volte era un po’ noioso, ma metteva in moto la fantasia.
Già da bambina contemplavi il panorama? No, il panorama non è un paradigma dell’infanzia: sono decisamente più interessanti le vie del paese, i negozi, le persone e il loro modo di guardarti e di parlare. Oltre ai giochi, naturalmente.
Allora quando hai cominciato a guardarti attorno? Molto più tardi, non saprei dire quando, con precisione. Mi sono trovata spesso a tu per tu con lo spazio infinito e ho cominciato a provar piacere nel contemplare quanto mi circondava. Durante quei periodi “vuoti” di impegni che sono le vacanze (ho sempre trascorso almeno qualche giorno nelle Dolomiti) stringevo una relazione molto personale con le rocce, gli alberi, i prati, l’aria fresca e leggera. A un certo punto ho desiderato catturare quella bellezza sublime. Come mezzo espressivo avrei potuto scegliere la scrittura, invece mi è venuto spontaneo visualizzare le immagini attraverso la pittura. E qui entra in campo il ruolo di mia madre.
|